(Calciopress – So. Gian.) Javier “Javi” Poves Gómez, nato a Madrid il 28/09/1986, è un ex calciatore spagnolo. Javi Poves (nella foto) ha già lasciato il calcio professionistico, anche se ha solo 25 anni. Ha rilasciato dichiarazioni di fuoco sul sistema pallonaro.
Condivisibili o meno che siano, resta il fatto che il pianeta calcio attraversa un momento di grave contaminazione. I soldi sono necessari in chiave aziendalista, ma quando sono troppi fanno solo del male. Le cifre che girano oggi sono esageratamente spaventose. I personaggi che popolano questo mondo che dovrebbe richiamarsi alla passione sportiva sono spesso discutibili (leggi qui l’esposto presentato da Zamparini contro l’agente di Pastore, ceduto al Psg per 43 milioni di euro). Facciamo il punto sulla storia di Javi Poves, lasciando libero ciascuno di trarre le sue riflessioni. Fino a che punto condivider la sua denuncia? Forse lui parla della (opaca) vita nel terzo millennio. Non solo del mondo del calcio, che ne è lo specchio fedele.
Chi è Javi Poves? Cresciuto nelle giovanili dell’Atletico Madrid viene ingaggiato, non ancora ventenne, dal Rayo Valecano. Dopo una breve parentesi nella squadra riserve passa in prestito a Las Rozas de Madrid prima, e al Novalcamero poi. Nell’estate 2008 il passaggio allo Sporting Gijon, che ne rileva il cartellino dal Rayo. Dopo 63 presenze con la squadra riserve il 21/05/2011 fa il suo esordio in prima squadra contro l’Hèrcules. Il 19/07/2011 rescinde il suo contratto con il Gijon. A poco meno di un mese dalla rescissione contrattuale con il suo vecchio club annuncia il ritiro, a soli 24 anni, lanciando una dura critica al mondo del calcio professionistico che definisce “solo denaro e corruzione”.
Una carriera breve e insofferente. Non una gran carriera, certo, quella di Javi Poves. Non dissimile però da quella di decine di altri calciatori che, in Spagna come altrove, cercano di galleggiare in un sistema dove circolano tanti (troppi) soldi. Aveva già messo in difficoltà il suo club prima della rescissione con due richieste fuori dall’ordinario. La prima, sospendere il pagamento del suo stipendio tramite transazioni bancarie perché non voleva che si speculasse sul suo denaro. La seconda, restituire l’automobile che il club gli aveva regalato perchè lo turbava molto l’idea di essere una persona sola e di possedere invece due vetture.
Un addio con molto astio. Il momento dell’addio è stato contrassegnato da dichiarazioni aspre: “Ciò che si vede da dentro chiarisce molto. Il calcio professionale è solo denaro e corruzione. E’ capitalismo. Il capitalismo è morte. Non voglio stare in un sistema che si basa su ciò che guadagna la gente grazie alla morte di altri in Sudamerica, Africa o Asia. A che mi serve guadagnare 1000 € invece di 800, se sono macchiati di sangue, se si ottengono con la sofferenza e la morte di molta gente? La fortuna di questa parte del mondo è la disgrazia del resto. Ciò che si dovrebbe fare è andare in ogni banca, bruciarla e tagliare teste”.
Troppo denaro fa male? “Antisistema o anarchico? Non so ciò che sono, so solo che non voglio prostituirmi come fa il 99% della gente”, spiega, raccontando anche tra i progetti futuri. C’è quello di studiare storia all’università o di trasferirsi in una delle parti povere del pianeta. “Voglio conoscere veramente il mondo, vedere quello che c’è”, conclude. Assicura che non gli servirà molto denaro: “Sono stato in Turchia in ostelli da 3 €”.
Calcio tra aziendalismo, etica e tifosi
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