(Calciopress – Sergio Mutolo) Le parole hanno un senso e un peso. Per questa ragione si dovrebbe dire ciò che si pensa e pensare ciò che si dice. Non sempre è possibile, in un mondo regolato dalle convenzioni. Il più spesso è opportuno appiattirsi su riflessioni diplomatiche nella forma, ma ipocrite nella sostanza.
Se è vero che questa scelta preserva le relazioni tra gli umani, pericolosamente compromesse in questi tempi opachi, è comunque liberatorio assistere alle discussioni dei bambini. Loro si che riescono a essere spontanei, liberi come sono dalle sovrastrutture mentali degli adulti.
Quando si vuole essere davvero capiti, basterebbe saper parlare come un bambino di cinque anni (l’avvocato Denzel Washington in “Philadelphia”, maestro in materia, docet). Tutto allora sarebbe più chiaro e più vero. Ma siamo nel campo dell’utopia.
A tutto, però, c’è un limite. Nel pianeta calcio sono state dette troppe parole vuote, prive di senso e di peso. Vacue promesse, lasciate evaporare confidando sulla labilità della memoria. Parole che se le porta via il vento. L’inazione dei vertici, persi dietro ai loro arzigogoli mentali, ha causato danni ormai (quasi) irreparabili.
Per nostra fortuna c’è ancora, nel mondo pallonaro, chi sa esprimersi come si deve. Chi si serve di parole che nascono dal cuore, sincere perché dettate dall’amore per le maglie.
Ci riferiamo ai tifosi, che si portano dentro per tutta la vita il lato infantile che li rende così speciali. Un atteggiamento dell’animo che li contrappone, con la spontaneità del loro dire e del loro fare, al vuoto pneumatico creato da vertici federali apatici e disattenti.
Non sono certo i tifosi da soli a tenere a galla una barca piena di falle. Ma senza i tifosi eterni bambini, incapaci di perdersi nelle parole vuote e ipocrite dei dirigenti che li rappresentano, il calcio avrebbe tirato giù il bandone da un pezzo.
Sergio Mutolo – www.calciopress.net