È dalla lontana assemblea del 19 giugno 2008, quando l’allora presidente Mario Macalli cancellò la serie C per sostituirla con la Lega Pro, che la terza serie nazionale italiana attende stancamente di imboccare la strada di un futuro compatibile e sostenibile.
Macalli parlò allora di un “cambiamento epocale” organizzato “sul modello delle leghe inglesi”. A distanza di otto lunghi anni, nulla di tutto ciò si è realizzato. Nessuno dei problemi che assillavano la ex serie C ha trovato una soluzione.
La Lega Pro, grazie allo scudo dell’obliquo oscuramento mediatico in cui è stata confinata negli anni, si è posta all’attenzione generale non per ragioni sportive ma per uno sfascio senza precedenti nella storia del calcio italiano.
Nel frattempo dalle 90 aventi diritto del 2008 si è scesi alle attuali 52 (QUI). Mai per scelte decisionali autonome, ma solo per l’effetto casuale di fallimenti a catena.
Va detto, inoltre, che un numero imprecisato di club ha presentato il 30 giugno 2016 domande incomplete e (più o meno) arraffazzonate. In barba alla perentorietà di una normativa che ormai fa acqua da tutte le parti e consente a tutti di mettere pezze destinate a rompersi prima di quanto si creda.
Così accade senza neppure aver formato i gironi e prima ancora di scendere in campo. Si torna a parlare di deferimenti e penalizzazioni a cascata, che falseranno il campionato 2016-2017 ben prima del decollo.
Di fronte ai molteplici nodi irrisolti (leggi:”Calcio, il grande bluff della Lega Pro“, pubblicato su Calciopress il 7 agosto 2010), la nuova governance guidata dal presidente Gabriele Gravina insiste sul ripristino del format a 60.
Una scelta che dà la stura all’indecente e immancabile telenovela estiva dei ripescaggi in terza serie nazionale. Una storia che sembra non finire mai e che continua a illudere falangi di tifosi, salvo rare autodeterminazioni, contribuendo a tirare su fragili castelli di carte (leggi “Ripescaggi in Lega Pro, la lezione della Triestina“).
Da troppi anni aspettiamo la costruzione di una serie C a misura delle oggettive risorse disponibili, che funga da vivaio per le categorie superiori e da collante per il contesto territoriale. Solo così la gente tornerà a riempire lo stadio della propria città, come avveniva una volta.
La disperante attesa di un modello italiano, che sappia conformarsi al meglio dei modelli già esistenti o inventarsene uno tutto suo, continua a lievitare. Esattamente come il disincanto dei tifosi e di quegli addetti ai lavori che ancora continuano a credere nel ruolo fondante di questa categoria.
Sergio Mutolo – www.calciopress.net