Il calcio si è avvitato su se stesso da troppo tempo, per pensare che si possa venir fuori dal pastrocchio in cui è stato trasformato. Il sistema ha finito per imboccare una strada che lo sta portando sull’orlo del precipizio.
A nulla sono valsi gli ammonimenti, liquidati come profezie sinistre della Cassandra di turno. Si è scelto di fare come le tre scimmiette (“io non vedo, io non parlo, io non sento”) e tirare dritti verso l’inevitabile deriva.
Nessuno sembra avere il coraggio di assumersi la responsabilità di questo sfascio.
Non i vertici federali, incollati saldamente a poltrone che ballano nel vuoto. Non i club, i cui presidenti si riuniscono solo per parlare del modo in cui dividersi i diritti tv. Non i media, distratti dalla loro attenzione spasmodica verso squallidi gossip che li hanno progressivamente distolti dalle questioni di fondo. Non i tifosi, che hanno scelto la via del disincanto e della diserzione. Domina l’indifferenza, il peggiore di tutti i mali come scriveva Antonio Gramsci.
Il calcio naviga a vista. Non ha orizzonti verso i quali veleggiare. Procede per forza d’inerzia, come una boccia che rotola stancamente su se stessa. Per chi detiene le leve del potere l’importante è andare avanti. Ciò che conta è far finta di essere sani, come cantava Giorgio Gaber.