La Serie A femminile, per assicurarsi una sostenibilità nel medio-lungo termine, ha il (disperato) bisogno di occupare uno specifico spazio nell’immaginario collettivo e di catturare l’interesse della gente.
Il movimento rosa ha messo fin qui in pratica quella che Eduardo Galeano chiama “l’arte dell’imprevisto”, acclarata da un filone inesauribile di storie, tuttora misconosciute alla massa degli sportivi. Il calcio femminile di (belle) storie da raccontare ne ha sempre avute a iosa, fin dalle sue origini.
Ora che la Serie A è lanciata verso il professionismo, diventa ancora più impellente l’esigenza di diffondere queste ‘storie’. C’è da catturare un interesse mediatico che ancora stenta a farsi largo. Non ci si può affidare alla mera trasmissione in streaming delle partite di campionato su TimVision e di una sola gara in chiaro su La7.
Per rendere il progetto duraturo ci sono tifoserie da coagulare attorno alla componente femminile dei club, visto che si è scelta una strada che rischia di trasformare i club in (sbiaditi) cloni del modello maschile.
C’è, inoltre, da sostenere e da accompagnare il definitivo decollo di un sogno che legioni di ragazze hanno coltivato sfangando nell’indifferenza generale sui campi di calcio di tutta Italia.
Gli addetti ai lavori facciano la loro parte, senza limitarsi a un cronachismo sterile come pure al solito gossip di genere. Non è di questo che ha bisogno il movimento femminile. Serve trovare ‘storie’ non banali, capaci di calamitare e incrementare l’interesse dei tifosi.
Non basta più praticare l’arte dell’imprevisto. Si tratta di programmare il futuro nei minimi dettagli. Anche quelli, in apparenza, di contorno.