Calcio femminile e ‘grande storia del club’: perchè il tifo non è mai negoziabile

Il calcio è uno sport bellissimo, a prescindere dal genere. La sua valenza sociale riposa nella trasversalità del tifo, che tiene uniti i ceti più variegati. Il suo più grande limite è la precarietà, l’incertezza del futuro.

Una spada di Damocle che può trasformare qualsiasi club in una canna al vento, perennemente in balia del proprietario di turno che può decidere a suo piacimento di bucare il pallone e portarselo a casa. Lasciando nell’incredulità intere città e tifoserie.

Ecco perché il calcio avrebbe (ha) un disperato bisogno di etica. La ‘grande storia’ dei singoli club è invece troppo spesso in mano a personaggi sbiaditi, senza fantasia, senza lungimiranza, senza un vero interesse per la città e per il territorio che i colori delle maglie rappresentano.

Latita quell’etica che i tifosi, candidi e immarcescibili Peter Pan, riescono a iniettare in dosi (ancora e pervicacemente) industriali dentro un sistema contaminato oltre ogni ragionevole misura da un business sfrenato che potrebbe farlo scivolare inesorabilmente verso il collasso.

L’amore dei tifosi per le maglie, perché è di amore che stiamo parlando, non verrà mai meno nel corso della vita. Qualunque cosa accada, non diventerà mai qualcosa di negoziabile. Saranno solo i tifosi a dare senso e continuità alla ’grande storia del calcio’.

Se lo mettano bene in testa gli scettici. La storia di ogni club, per quanto minuscolo e periferico sia nella geografia del calcio, resterà sempre e per sempre una grande storia. Il calcio è uno sport con l’anima e la sua anima sono i tifosi.

Nella foto: lo stadio ‘Nesi’ di Tavarnuzze, dove gioca il Centro Storico Lebowski (club di proprietà dei tifosi che ha anche una squadra femminile iscritta al girone B del campionato di Serie C).

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