L’incipit di “A Tale of Two Cities” di Charles Dickens offre un’immagine suggestiva della dicotomia all’interno della quale, da molti (troppi) anni, è costretto a muoversi il sistema calcio femminile.
“Era il migliore di tutti i tempi, era il peggiore di tutti i tempi, era il secolo della saggezza, era il secolo della stoltizia, era l’epoca della fede, era l’epoca dell’incredulità, era la stagione della Luce, era la stagione delle Tenebre, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazione, avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi, andavamo dritti dritti al Cielo, andavamo dritti dritti dalla parte opposta”.
La storia del calcio femminile è stata per lungo tempo vissuta alla periferia del mondo pallonaro maschile. Un presupposto che, da solo, spiega come il calcio femminile si fondi su una determinazione e una passione senza limiti. La prova? Le centinaia e centinaia di ragazze che hanno sfangato sui campi di tutta Italia per decenni, sorrette da un entusiasmo senza limiti. Senza altro obiettivo se non divertirsi e giocare.
La storia del calcio femminile è, dunque, del tutto peculiare. Intrisa di ideali, di valori, di aneddoti, di memorie, di gioie alternate alle amarezze. Una storia sottesa da una varietà strabordante di situazioni a corrente alternata, che potrebbero aver dato le fondamenta stabili a un movimento pronto al meritato decollo.
Sono le ragazze, con le loro storie individuali, che hanno reso speciale la storia del calcio femminile. E che continueranno a farlo. A prescindere. Sempre e per sempre.
Per questa e per molte altre ragioni il calcio femminile ha bisogno di una crescita ‘vera’ e sostenibile, che assicuri un futuro solido e stabile.