A proposito di Clint Eastwood e del Mondiale in Qatar: perchè non accontentarsi di meno

Il Mondiale in Qatar è la prova provata dell’abisso in cui è stato trascinato il calcio moderno. Si è perso il senso etico che dovrebbe permeare questo sport bellissimo ormai ridotto a un opaco business. Fino a farlo diventare la pallida ombra di se stesso.

Frankie Dunn (un Clint Eastwood che toglie il fiato) è il vecchio allenatore protagonista di Million Dollar Baby (imperdibile film del 2004). Ha scelto di stare ai margini del mondo e della vita. Passa il suo tempo a leggere libri scritti in gaelico. Negli intervalli segue il lavoro dei pugili che frequentano la sua palestra, oltre a tormentare un povero prete su questioni escatologiche che nessuno riesce a chiarirgli. Ha quasi paura di uscire fuori. Evita di affrontare una realtà che non capisce, che gli risulta ormai estranea.

Frankie Dunn si è inoltrato troppo sull’impervia strada dell’etica per provare anche solo a rincorrere il successo. Non pensa certo di essere il migliore, né di essere migliore degli altri. Ha solo deciso di vivere la vita a modo suo, ma non riesce più ad accontentarsi di meno. Dalla sua palestra scruta il mondo, con fare disincantato. Non un grande spettacolo da vedere. Anzi, qualcosa da cui tenersi rigorosamente a distanza.

Se Frankie Dunn venisse a contatto con il calcio moderno, non potrebbe che trarne conclusioni altrettanto negative. La palestra-rifugio non sarebbe sufficiente a ripararlo dall’opacità che gli si parerebbe davanti, così mediocre e precaria. Un sistema popolato da troppi personaggi squallidi e malmostosi per essere veri. Soprattutto, così distanti dai nobili modelli di un passato che appare ormai sempre più lontano.

Da libero pensatore qual è sempre stato, una volta messo di fronte alle macerie di uno sport fantastico quanto la sua amata boxe, resterebbe attonito. Di fronte allo spettacolo triste e mistificatorio al quale è stato ridotto, si rifugerebbe nel sogno. Ovvero nella memoria del calcio di una volta. Fiero del suo stato, da condividere con tanti altri tifosi bistrattati e derisi. Rivendicherebbe la sua appartenenza tradita e si rivolgerebbe al passato, Frankie Dunn. A quei ricordi che riescono ancora a scaldargli il cuore.

Proprio come il suo mentore, Clint Eastwood. Altrettanto fiero del suo cinema lineare e antico. Restio alla volgarità delle mode, eppure così coinvolgente e straordinariamente bello da vedere. Si può essere grandi anche nella semplicità. Non solo perché Clint è un regista più bravo di molti altri suoi colleghi, come in effetti è. Ma anche perché, come accade al suo alter ego Frankie, non riesce più ad accontentarsi di meno.

Così come dovrebbero fare i tifosi, rispetto a ‘questo’ calcio fatto deragliare dai suoi binari. Non accontentarsi di meno, per non diventare complici del sistema.

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