Il calcio secondo Marco Zwingauer, il dg che ha portato il Napoli Femminile in Serie A

“Il calcio è profondo senso di appartenenza. È la consapevolezza che appartiene alle persone e che, sognando insieme, si possono raggiungere risultati straordinari” 

Marco Zwingauer, avvocato, è uno dei principali artefici della promozione diretta in serie A del Napoli Femminile. Un dirigente che mastica calcio vero da molti anni.

I due club per i quali ha lavorato prima di approdare nella città partenopea – Centro Storico Lebowski nel maschile e Florentia San Gimignano nel femminile – sono stati organizzati con capacità di visione, competenza, senso di progettualità, attenzione ai bilanci e tanta passione. Requisiti fondamentali per guidare un club che abbia voglia di emergere nella difficile transizione economica dei nostri tempi.

Per metterne a fuoco il lato umano, che va ben oltre la professionalità, gli abbiamo posto 10 domande a tutto campo.

  • Da dove nasce la tua passione per il calcio?

Per la strada, sui campi. Ma anche negli almanacchi, negli album di figurine, nei giornali, nei giochi cosiddetti “manageriali”, nelle bancarelle fuori dagli stadi. Ovviamente nelle curve e alla radio. Non ricordo la mia vita senza calcio. 

  • Quando hai deciso di traslocare nella stanza dei bottoni e di occuparti, anche e soprattutto, dell’aspetto organizzativo di un club?

Non sono riuscito a mettermi in mostra come calciatore e così ho sempre aiutato i miei allenatori, i dirigenti, i magazzinieri. Ho sempre guardato a quello che succedeva attorno al campo. Appena c’è stata la possibilità di farlo, per me è stato naturale. Ho sempre avuto più interesse a seguire un direttore sportivo o un presidente, anziché un calciatore. 

  •  Cosa ti è rimasto della tua esperienza al CS Lebowski?

Il profondo senso di appartenenza. La consapevolezza che il calcio è delle persone e che sognando insieme si possono raggiungere risultati straordinari. 

  •  Da dove è nata l’idea di trasferire la Florentia a San Gimignano?

Volevamo provare a raccontare una storia diversa, che potesse appassionare un pubblico più vasto e diverso. Pensavamo – e i fatti ci hanno dato ragione – che portare una squadra di Serie A femminile in un borgo tra i più affascinanti d’Italia avrebbe potuto creare i presupposti per avvicinare tante persone a uno sport ancora molto lontano dalle masse. 

  • Come hai vissuto la tua stagione e mezzo da direttore generale del Napoli femminile?

Molto complicata. Napoli è una città straordinaria, ma con una carenza importante di strutture sportive. Il Napoli Femminile non ha ancora trovato una sua collocazione nella città, quindi non è facile lavorare all’interno di una organizzazione non ancora definita. A questi limiti fa fronte una proprietà appassionata, competente e ambiziosa.  L’anno scorso non siamo riusciti ad evitare la retrocessione, nonostante una delle migliori difese del campionato nel girone di ritorno e alcuni risultati prestigiosi, come le vittorie in trasferta a Firenze e Empoli e i pareggi esterni di Milano (Inter e Milan) e Sassuolo. Avremmo dovuto essere più bravi a gestire gli scontri diretti e l’emotività di un gruppo particolare. Tutto sommato l’obiettivo era comunque quello di cercare di razionalizzare il Club, semplificando i processi e migliorando alcuni meccanismi. Penso che alla fine ci siamo riusciti, quindi il bilancio è positivo. 

  • Ti vediamo sempre seduto sulla panchina del Napoli per seguire le partite da bordo campo: come mai questa scelta?

Ancora non riesco a staccarmi dal campo. Nella mia vita ho fatto più di 300 panchine, credo di riuscire a vedere più di altri ciò che succede “fuori” dal campo, al di là delle dinamiche tattiche. Non intervenire prontamente in alcune situazioni non mi farebbe dormire la notte! 

  • La componente dilettantistica nel calcio femminile sta progressivamente sparendo. Cosa ne pensi?

L’ala dilettantistica esiste ancora al di fuori della Serie A e rappresenta il cuore pulsante del movimento. Tuttavia, la scelta di sistema è stata quella (comprensibile) di sviluppare un calcio femminile “a misura” di calcio maschile, riproducendo cioè gli scontri sportivi che animano il campionato di Serie A maschile. Siamo all’inizio ed è presto per tirare conclusioni, Certo è che il calcio femminile negli ultimi 3 anni è cambiato tantissimo, diventando sempre più competitivo. 

  • Ritieni che il capitale umano dell’ala dilettantistica tornerebbe utile anche alle società che hanno alle spalle il maschile?

Avviene già, in parte. Chi lo meriterà sono certo che potrà ritagliarsi il suo spazio. 

  • Credi che il format attuale della Serie A sia quello giusto per aumentare la platea dei tifosi che seguono il femminile?

Servono due squadre in più. Evidentemente si è ritenuto che con dieci squadre il campionato fosse maggiormente equilibrato. Speriamo di potere tornare presto a un numero idoneo. La formula della poule è interessante, ma la giornata di riposo assai penalizzante. 

  •  Progetti e, perché no, sogni per il futuro?

Mi piacerebbe avere il tempo e la possibilità di lavorare su un progetto di comunità per il calcio femminile. Vorrei continuare a sviluppare un modello di partecipazione e coinvolgimento del territorio come ho fatto in passato, senza tralasciare gli obiettivi sportivi che spero possano essere quanto più ambiziosi possibile.

➡️ Sergio Mutolo

 

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