Calcio femminile: se la Serie A si rifugia nelle ‘parole vuote’, scimmiottando il maschile

“Ogni parola ha conseguenze. Ogni silenzio anche”
(Jean-Paul Sartre)

Ci è stato insegnato che le parole hanno un senso. Che si dovrebbe (si deve) dire quello che si pensa e pensare quello che si dice.

Ci rendiamo conto che non è sempre possibile e che ci sono convenzioni da rispettare. Talora è opportuno allinearsi su atteggiamenti definiti diplomatici, ma nella loro sostanza ipocriti. Un’ipocrisia controllata può far comodo alle relazioni umane, già fortemente compromesse in questi tempi piuttosto opachi.

Perciò è così bello assistere alle discussioni dei bambini, spontanei e ancora liberi da sovrastrutture mentali. E per questa ragione, quando si vorrebbe davvero essere capiti, bisognerebbe parlarsi come bambini di cinque anni (ricordate la frase dell’avvocato Denzel Washington nel film “Philadelphia”?).

Tutto allora sarebbe più chiaro. Non siamo nati ieri e sappiamo bene che ci si inoltra nel campo dell’utopia. Ma a tutto c’è un limite. Troppe parole in libertà sono state dette nel calcio maschile, portandolo alla deriva che è sotto gli occhi di tutti. Parole vuote e prive di senso. Parole autoreferenziali, alle quali raramente è stato dato un seguito fattuale. E si è visto.

Vorremmo tanto che la Serie A Femminile, che ha raggiunto l’anno scorso il traguardo del professionismo e che è ‘popolata’ da appena 10 club (un numero davvero molto esiguo da gestire) non cedesse a questo trito refrain.

I primi segnali della stagione che è ormai alle porte, non sono certo favorevoli. Di ‘parole vuote’ ne stanno cominciando a circolare davvero troppe, se l’obiettivo finale più volte dichiarato è la crescita globale del movimento.

Occorrono risposte chiare e provate dalla concretezza dell’azione. È tempo di darsi da fare. Sono solo 10 i club da gestire. Non si venga a dire che è un’impresa titanica. Una scusa inaccettabile. O no?

Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sè, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele, e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio. Abbiamo creduto d’intenderci, non ci siamo intesi affatto”
(Luigi Pirandello, ‘Uno, nessuno e centomila’)

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